FRANCESCO SAMBATI

FRANCESCO SAMBATI

di Marco Guidi

Bello il mare quando è calmo, immobile, affascinante ai più, perché è così, è lì, pronto da contemplare e ammirare nella sua naturale bellezza, senza dover farsi poi troppe domande.
Per la maggior parte delle persone è così. Per i consuetudinari.
Un mare senza vento, bonaccia pura. Il desiderio di molti.
Un vero marinaio questo non lo sopporta, uno che naviga abitualmente tra vuoti e angoscia, per cui anche uno spiraglio di luce significa tanto, necessita di dinamicità, vuole vedere rispecchiato se stesso in un mare fatto di correnti, basse e alte maree.
La fotografia deve scuotere, e può farlo in diversi modi. Uno di questi è senz’altro il rigetto di alcune convenzioni. Sambati fa cortocircuitare certi filoni convenzionali dell’arte traslati poi nel tempo in feticci dell’oggetto fotografico, annullando così i generi. Moderno surrealista, intesa come la sua unica via per dare un senso a quello che molti definiscono reale o oggettività. è un diplomatico rappresentante dell’informe.
Il lavoro di Sambati è una congiunzione o un’opposizione di astri, una sizigie di sentimenti, una lotta contro il proprio io. Mette a contatto il rifiuto di una concezione narrativa tradizionale con l’innovazione e con l’originalità della memoria vista dal lato di una sorta di fase REM.
La composizione è spesso sghemba ed elegante al tempo stesso, perciò insolita, ma è l’unica certezza di questa sintassi con la quale Sambati riesce a far convergere abilmente verso un polo misterioso, che è poi la nostra di memoria, tanti elementi diversi tra loro che per via dell’onirico e del ricordo ci appaiono immediatamente familiari. Elementi uniti come una rotta lossodromica, un lungo percorso anche mentale in cui la costante angolare è proprio il modo in cui avviene la rappresentazione dei segni. Parlare di metafisico è sempre affascinante, forse facile in certi casi, ma qui potrebbe essere scorretto, anche se in alcune fotografie del suo archivio ci sono degli elementi, come il faro o le marine, che possono rimandare ad atmosfere alla Carrà, ma è più un richiamo lontano, il fascino di una sorta di ready made unito all’ istantanea (Del resto anche per Baudrillard, qualsiasi oggetto, individuo o situazione, è oggi un Ready-Made virtuale).
Il che può senza dubbio provocare una percezione che altro non è la costruzione della mente e dei suoi meccanismi. Nel senso che tutto quello in cui incorriamo nella fotografia del Nostro, è un pretesto per dire altro. L’autore è abile nel dissotterrare e riseppellire strati di sentimenti, un gioco di simboli che fa risuonare con costanza dolci pulsioni erotiche miste all’interrogativo quasi logorante che suscita il paesaggio in chi lo osserva con attenzione, inteso quale abisso amaro della malinconia, di cui ci ha parlato in modo struggente anche Baudelaire. Tra l’altro l’opera di Sambati per questo suo rifiuto del convenzionale e della logica dell’esattezza, dell’oggettivo al quale ancora tanti, troppi tendono a rincorrere, ben si sposa con la concezione ottocentesca e in questo caso d’avanguardia dell’immenso poeta francese.
E’così, come ci ha inizialmente raccontato Bataille, o Breton con la sua “Bellezza convulsiva” ogni elemento perde di significato e si svela nella sua alterità ma non necessariamente metafisica.
Il nudo non è più tale, così come il paesaggio, per acquisire un significato nuovo, a partire dalla teoria dell’informe. Ovvero, nel suo caso, la sospensione di ogni giudizio sulla natura delle cose, una spontanea ammissione relativa all’inconoscibilità della realtà. In altre parole l’Afasia, il manifesto del suo lavoro.
La donna nella sua nudità o nel suo porsi al centro dei luoghi o in unione con essi, diventa sintesi del vuoto dell’autore e del suo parziale occultamento, inteso come il rifiuto di essere fautore di una comunicazione precisa, cosa impossibile tramite il mezzo fotografico del resto, sottolineando, quale una dichiarazione di intenti, la sua incapacità di esprimersi con la parola o la scrittura, e l’invito ad una percezione soggettiva e sollevata da ogni pretesa di univocità.
Un nuovo significato, dunque, o una variante di occultamento dell’autore, non tanto per via di un’assenza fisica di questo o del mezzo tecnico, ma inteso come l’atto autoriale di una decostruzione di genere, sussurrando nuove alternative d’interpretazione all’ormai classico triangolo semiotico, che nell’insieme, porta ad un nuovo perturbante, al quale però l’autore si sottrae volontariamente proprio con la realizzazione della sua opera. Significa porre ansia e angoscia nell’istantanea.
Nella sua poetica Francesco Sambati non cerca il mare, lui lì ci si trova da un pezzo, non fa altro che navigarlo con il coraggio di essere se stesso, senza smentirsi e senza paura di dire che forse in porto non ci arriverà mai. Perchè la vera destinazione è il viaggio. Di qualunque concezione esso sia.
Fotografie: Francesco Sambati

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