Selezione di fotografie e commento
di Marco Guidi
Che cos’è un nudo? Per secoli l’uomo si è squassato tra masturbazioni etiche e codificazione morali, con l’unico risultato di affinare la propria ipocrisia e civilizzando un approccio misogino con tutto quanto si avvicendasse ad entrare nella sfera semantica di una pura e naturale femminilità.
Allora viene da dire che questa sorta di Voluntas tramandata e ostentata nei secoli volta a ostacolare il nudo nella sfera pubblica, non è altro che una battaglia per arginare l’avanzata di qualcosa che per sua natura non può e non deve essere bloccata. L’Essenza della femminilità, il diritto a essere donna che deve in qualche modo sfondare i muri di una concezione che ha come unica mera roccaforte d’autodifesa il tema sterile della provocazione e al tempo stesso del vagabondaggio morboso dello sguardo.
Giulia Agostini è una fotografa di nudo, non tanto come tipologia fotografica, ma come posizione ontologica della struggente ricerca di sé, come un attivismo autopoietico talmente importante da eliminare ogni velo e tracciare tramite la fotografia una rotta Autoreferente per approdare verso il prossimo, in cui cerca d’intravedere il proprio Io. E’una pura ricerca rivolta all’intimità.
I Suoi sono nudi che in un’esplosione di asetticita’, un’esibizione pirotecnica del corpo a grado zero, irrompono nella quotidianità come il flash di un paparazzo, per scombinare gli equilibri, per ferire ego sicuri e stracciare, per poi ricucire tessuti rattoppati di scontata routine.
La Agostini si approccia poeticamente alla fotografia, parla di sé attraverso la carne viva dei suoi soggetti, attraverso i cuori pulsanti, le vibrazioni dei corpi e i sospiri di nostalgia, tramite muse che per via di quella fenomenologia del lineamento lievemente androgino, rimandano ad un’esaltazione della malinconia. Si esprime attraverso degli sguardi giovani e allo stesso tempo stanchi di un mondo che impedisce la valorizzazione e la piena presa di coscienza di sé.
Viene fatto tesoro del risvolto squisitamente identitario e ambiguo, proprietà della fotografia già dai tempi in cui, ancora molto prima delle avanguardie, essa si dileguava, senza neppure troppa fatica, se chi ne guidava la rivoluzione verso l’indipendenza dalla pittura era armato di consapevolezza, da quella concezione di Complessità quasi artigianale e non percettiva, quale metro di giudizio per l’artisticita’.
Nel mondo di Giulia Agostini, luoghi, situazioni, persone, e le nudità di essi, oltre ai nudi in senso stretto, sono stropicciati, scomposti, colti di sorpresa, come se la fotografia fosse arrivata poco prima che si potessero ricomporre. Come se fossero attori in un camerino prima di entrare in scena, presi alla sprovvista, prima di poter preparare una sorta di scudo, un filtro di difesa dallo sguardo indagatore della Nostra, che penetra nella sfera altrui quale pretesto per la vera ricerca, quella Introspettiva, verso il proprio io.
La sua fotografia è Analogica non solo per i materiali, anche se spesso la grana evidente è una sorta di pudicizia, sembra semplicemente un accordo poetico tra lei e le emulsioni per sottolineare e far comprendere il senso relativo ad un’esplorazione e presa di coscienza di sé ancora incompleta. È analogica per via del procedimento, ambiguo gioco di sembianze, lenta esplorazione intima.
Per questo anche se certi tagli sembrano da istantanea, per l’appunto le fotografie non lo sono.
Se è vero che anche il voyeurismo è da sempre una componente intrinseca della fotografia, la Agostini lo dà per scontato, ma al tempo stesso lo annulla. Giusto per una parentesi scherzosa, la immagino, per strada con la sua macchina Analogica nel formato 35mm mentre dialoga con Muybridge su voyeurismo e Identità.
Il suo obiettivo, non si avvicina a buchi della serratura, per spiare forme nascoste, corpi, materia per il lusso dello sguardo, ma entra in punta di piedi in luoghi resi surreali addirittura dalla mancanza di porte e stanze.
Esplicita quanto basta per eliminare sensazioni pruriginose verso la carne e di conseguenza incuriosire, spingere lo sguardo a sforzarsi di entrare dentro la metafora del nudo, quale percezione di secondo ordine.
Prima ho parlato di nudo senza collegarlo direttamente alla fotografia. Una delle cose che mi affascinano maggiormente è l’annullamento di categorie. Il suo è un lavoro interessante e, per così dire, di una certa ricchezza anche perché sembra superare il dibattito sui generi e sui percorsi univoci della fotografia senza escludere nulla dalla sua relazione con il mondo del visuale.
Giulia prende, anzi, pone in essere, quale artefice e legislatrice del suo sguardo verso gli aspetti del quotidiano, anche fotografie che abitudinariamente definiremmo di strada. Ma prendendo in considerazione porzioni di umanità sconosciuta e nota allo stesso tempo, data la comune appartenenza generazionale, non se ne coglie la nudità vera e propria?
Nudità in quanto incapacità di difendersi vestendo e agghindando il proprio ego con aspetti culturali, passionali e caratteriali all’istante. Quell’ Istante in cui i soggetti vengono interpellati dallo sguardo serenamente indagatore, volto a entrare in sintonia, evidenziando la propria intenzione terapeutica e intima verso l’altro, come una freccia, indicatore di direzione della macchina, Fotografica, di Giulia, nel corso del suo itinerante viaggio volto a trovare e a trovarsi in un’umanità vera, per l’appunto, nuda.
GIULIA AGOSTINI