di Marco Guidi
1) Ciao Giacomo, partiamo da una richiesta, dicci chi sei, da dove nasce il tuo essere fotografo?
Ciao Marco, ho 25 anni e sono uno studente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, dove attualmente ho intrapreso il master specialistico in fotografia. L’utilizzo del linguaggio fotografico è nato in questi anni di studio.
2) Lo studio accademico della fotografia ha modificato il tuo approccio alla disciplina e la tua
concezione autoriale?
Assolutamente sì.
Quando mi avvicinai alla fotografia per la prima volta fu in modo del tutto inconsapevole e improvvisato. Provengo da una formazione fortemente accademica che ho svolto durante gli anni di liceo artistico tradizionale. Pittura, scultura e copia dal vero erano le principali forme di rappresentazione visiva che utilizzavo. La macchina fotografica arrivò molto tardivamente a questa formazione.
Il primo amore verso le immagini fu causato dalla fotografia notturna. Iniziai presto a seguire diversi amici e professionisti lungo le montagne del confine con la Svizzera con la speranza di imparare qualche trucco del mestiere.
Una volta intrapreso gli studi in Accademia e frequentando professori, professionisti e studenti all’interno dell’Accademia, iniziai a capire i motivi per cui ero tanto affascinato dalle atmosfere notturne e al mondo della fotografia.
Diventò ben presto una questione di urgenza, di bisogno e di stimolo. Capì che non mi bastava più ricercare la bella immagine e che dovevo andare oltre. Scoprì che governare quasi totalmente la scena, approfondire meglio il ruolo fondamentale della deriva e della camminata, erano fattori che influirono profondamente sul modo con cui mi approccio alla macchina fotografica.
Compresi inoltre che la fotografia era totalmente diversa da come la immaginavo. Ero vittima di un retaggio storico, che in Italia, ci portiamo dietro da sempre. Compresi inoltre della totale messa in discussione della fotografia dopo l’avvento del digitale. Una rottura non solo come strumento e mezzo, ma anche della stessa immagine.
Un testo che mi aiutò molto su queste riflessioni è il filosofo Byung-Chul Han.
Nel saggio “La società della trasparenza” spiega come oggi tutti noi fruiamo e creiamo immagini “pornografiche”. Viviamo un periodo storico di forte saturazione in cui viene adottata a dismisura una modalità di pura esposizione.
Godiamo delle immagini. Pensiamo per immagini. Siamo sommersi dalle immagini. Produciamo tutti massivamente delle immagini. Per questo motivo credo che coltivare il pensiero e la propria educazione all’immagine sia un passo fondamentale che può aiutare a fare chiarezza in un mondo molto complesso e spesso contraddittorio. Il percorso accademico quindi credo sia un buon metodo per poter individuare quale direzione si voglia prendere come artista e a leggere meglio il nostro presente.
3) Quando hai capito che era importante per te andare oltre il concetto estetico dell’immagine singola e realizzare un progetto? Hai mai partecipato a letture portfolio? Hanno avuto influenza positiva sul tuo agire o ti hanno condizionato?
Non ci fu un momento in particolare, ma credo sia stato il confronto, avvenuto nel tempo, in cui osservando le mie stesse immagini mi resi conto che erano piatte e fortemente “laccate”.
Constatai di essere succube di alcuni concetti e di diverse convinzioni che mi conducevano ad adottare un pensiero rigido e poco produttivo. Quelle immagini che producevo non mi appartenevano in quanto erano scollegate e fini a sé stesse.
Nel 2017 venni selezionato insieme ad altri dieci studenti, provenienti da tutta Italia, a partecipare alla Master Class di Canon durante il Visa Pour L’Image a Perpignan, in Francia. In quella esperienza ebbi la fortuna di incontrare alcuni fotografi dell’agenzia Magnum come Jerome Sessini o di National Geographic come Nick Nichols. Poter visionare con loro il mio lavoro fu un momento fantastico. Acquisì una nuova consapevolezza.
E’ utile fare revisioni portfolio. Ti aiuta a prendere visione del tuo stesso lavoro da un punto di vista totalmente differente con un bagaglio culturale ed estetico spesso molto diverso dal proprio.
4) Un passo indietro. Quanto è importante per te la valenza estetica?
Per me la valenza estetica è fondamentale. L’idea è importante quanto i significati che veicola. Nel mio lavoro cerco sempre di trovare il giusto compromesso di entrambe le cose.
In alcuni ambiti sembra tornare in voga l’ideologia dell’idea come primario fattore di produzione artistica. Credo che entrambe le cose debbano viaggiare verso un unico fronte.
5) A livello di strumentazione cosa ritieni più adatto al tuo agire fotografico?
La mia strumentazione è molto semplice. Lavoro sempre con la stessa ottica e l’immancabile cavalletto. Ogni tanto uso la pellicola in funzione di ciò che sto realizzando.
6) Dove vuoi arrivare con la fotografia?
Non so dove voglia arrivare, sicuramente non credo mi lancerò mai di forza nel mondo della fotografia commerciale. Faccio altri lavori per sopravvivere. Non fa per me.
La fotografia è un qualcosa che pratico per puro piacere e benessere. Fare l’artista? La vedo dura, però chissà…
7) Quanta influenza ha avuto la fotografia americana contemporanea nelle tue immagini? Ne vedo personalmente dei riferimenti.
La fotografia americana è stato un punto cruciale della mia ricerca. I primi autori che mi folgorarono erano tutti americani. La maggior parte dei film di cui ci nutriamo sono americani. Queste istanze e rimandi estetici li ho come assorbiti involontariamente fin quando ho cercato di sfruttarli a mio vantaggio.
8 ) A questo proposito , se vuoi dircelo , chi sono i tuoi autori di riferimento?
Le prime fotografie di cui mi innamorai furono quelle di Gregory Crewdson e di Jeff Wall.
Ad oggi sono tanti gli autori da cui prendo riferimento, come ad esempio: Lise Sarfati, Alec Soth, Stephen Shore, Meyerowitz, Phili Lorca di Corcia e la scuola di Düsseldorf in generale.
Devo molto al cinema Italiano di Antonioni, mi ha ispirato fortemente con la sua poetica.

Ho sempre disegnato e scolpito. Credo che in qualche modo abbiano contribuito alla mia formazione. Ad ogni modo tra le influenze più importanti è stata la composizione musicale per film e gli studi in Nuove Tecnologie Dell’Arte. Qui ho potuto lavorare utilizzando i linguaggi del sound design, del cinema e della programmazione.
9) Ultima domanda. E con questo ti ringrazio per la disponibilità, cosa diresti a un giovane che si approccia al Mondo della fotografia?
Da giovane a giovane posso dire solo una cosa. Darsi degli obiettivi specifici può essere utile per non essere sommerso da questo mondo davvero complesso. Ho visto colleghi affogare in sé stessi davanti alla visione infinita di lavori superbi o come alla delusione di non riuscire ad emergere attraverso i concorsi, festival e via dicendo. La vera cosa importante è il motivo per cui fai fotografia. La ricerca è fondamentale e va sempre coltivata. L’estetica e la propria visione arriverà da sé solo se la precedente sarà sempre costante. Piccoli e grandi risultati allora non tarderanno ad arrivare.
Intervista con Giacomo Infantino