La Geografia Sentimentale nelle fotografie di Marco Pesaresi

La Geografia Sentimentale nelle fotografie di Marco Pesaresi

di Marco Guidi

Di Marco Pesaresi è stato detto e scritto tanto, e ogni volta che si vorrebbe, come nel mio caso, tentare di aggiungere qualcosa, si ha il timore, quello sano e reverenziale, di essere fuori luogo.
Ma non posso fare altrimenti, del resto “Rimini” è uno dei libri che più mi ha sconvolto…
Provo a parlare di Marco in una maniera che credo nessuno abbia mai pensato.
In relazione ai luoghi Luigi Ghirri parlò di Geografia Sentimentale, una sorta di locuzione da lui coniata per definire il suo itinerario sensibile in merito al passaggio attraverso essi, la cartografia del suo essere fotografo, la sua proiezione gnomonica del mondo ancor prima di doppiarlo. Non solo, ma comprendeva anche il non-visibile come la musica di Bob Dylan e i metaricordi.
Pur parlando di due autori giganteschi, verrebbe da chiedersi cosa abbia in comune Marco, che dell’emotività e di un certo modo di provare sentimenti e renderli fotografia a sua immagine e somiglianza ha fatto il suo marchio di fabbrica, con Ghirri? Uno che ha dissotterrato e frastagliato migliaia di strati di quel visibile erroneamente definito banale, per rivalutare i significati dati per scontati di “Cose” e “Immagine delle Cose”.
Quello che hanno in comune sono gli itinerari, le mappe del cuore, dell’intelletto e dei sentieri, e l’approccio a questi. Non importa il dove vero e proprio.
Marco soprattutto, ha girato il mondo, ma i luoghi davvero importanti sono quelli dietro casa del resto, quelli che per primi vanno capiti se si vuole poi comprendere l’oltre. Lo diceva sempre Marco:
“Vi amerò per le strade del mondo”. Le sue strade. Perchè per amare gli altri occorre prima amare se stessi, questo è ormai risaputo, ma aggiungo, magari occorre anche amare i luoghi in cui si ama.
Ghirri ha amato le sue pianure, fotografate con un equilibrio disinvolto in bilico tra il minimalismo e la lezione dei Nuovi Topografi, ha amato le marine, ha amato Scandiano, Ravenna e altri luoghi, puntini sparsi tra l’Emilia, la Romagna, e il resto del mondo che col suo sguardo ha voluto rinnovare, anche se aveva ironicamente riconosciuto che non c’era troppo altro da fare, una volta che dalla Luna si era riusciti a trovare l’immagine che conteneva tutte le immagini del mondo stesso. Non si è mai dato per vinto nella sua geologica attività volta a trovare gli “Strati del sentire”.
Pesaresi ha amato nell’inferno delle metropolitane, in un moderno girone infernale, fatto più di lamenti che di canti. La bufera infernal che mai non resta, fatta di vagoni sporchi e di latrati che arrivano malinconici dal centro della terra. Ha amato nei luoghi più poveri, disperati e depravati del pianeta. Ha lasciato andare libera la sua particolare affezione tra prostitute e drogati, tra senzatetto e malati, guardandoli sempre senza nessun muro tra lui e loro, solo il sorriso universale con cui mimava la richiesta di poterli fotografare. Ha voluto provare l’ebbrezza di sentirsi senza fiato in ogni città del mondo e di godere dell’Eros in forme che forse non potremmo capire.
Parliamo di fotografia allo stesso modo di cui si parla di amore. L’ha detto anche Paolo Roversi, il fotografo, non lo scrittore, che in fin dei conti la fotografia è sempre una questione di amore.
Forse non ci avrebbero creduto, nemmeno lo avrebbero immaginato Nièpce e Daguerre, che con la fotografia si sarebbe finiti per provare dei sentimenti. Con la Nikon Fm2 di Pesaresi, era così. Poteva portare un sorriso dove la gente proprio non ne aveva voglia. Questa è stata la sua Geografia Sentimentale. Nient’altro che il suo agire complessivo, da sempre premeditato.
Marco è stato ed è tuttora il fotografo più brillante e più geniale che la città di Rimini abbia mai avuto con sè e a cui abbia dato i natali. Lui, tanto, troppo sensibile, carico di questa sensibilità straniante e autolesiva, con le sue visioni in bilico tra Fellini e Guareschi, è stato un romagnolo cosmopolita ,che ha immortalato per noi personaggi che sembrano essere usciti dalle pagine scritte da una sapiente penna del passato.
Mi è capitato spesso, per i miei progetti, di fotografare in spiaggia a Rimini. Mi chiedo se ci fosse stato anche lui lì, a fare la medesima cosa, come sarebbe andata.
Ho provato a romanzarla:
<<Marco era appena arrivato in spiaggia in quel pomeriggio soleggiato di primavera, in cui la calura la faceva da padrone, l’immancabile minox tra le mani. Mi ha fatto un cenno di saluto da lontano, ma era troppo preso dai suoi pensieri. Aveva appena finito di sorseggiare una birra. Potevi captare l’euforia che aumentava al pensiero delle fotografie che avrebbe preso.
Era caldo, sudava, il suo corpo drenava umori, microparticelle di splendida e autentica sensibilità umana, vera, nella sua profondità ed essenza più ancestrale, come quella che aveva incontrato nei suoi viaggi intorno al mondo e intorno all’uomo. Cercava l’umanità nelle metropolitane, e sui treni, fino alla fine del mondo. Perché in fondo, non siamo di passaggio, in un mondo che non ci appartiene?
Adesso è qui, tornato nella sua Rimini, per mostrarne il lato più umano, pittoresco, tradizionale, ma anche goliardico e trasgressivo.
E io mi faccio gli affari miei qua. Guardo anche io il mondo, attraverso il mirino a pozzetto della mia Rolleiflex. Aspetto il giorno in cui avrò il suo libro per le mani, per vedere una città, con il suo entroterra e il suo mare, che in realtà ancora non c’è.>>

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