Marco e Giovanni Vincenzi - "Si Git Via"
di Marco Guidi
La fotografia intesa come operazione artistica deve includere in sè una determinata soglia di complessità. Non tutto va bene, non tutto è accettabile. Come nel jazz, non tutto funziona, neppure improvvisando. Non è facile, le sfumature da cogliere sono molte. Non tutto però si delinea in maniera puramente oggettiva. Complessità non significa immediatamente comprensibile.
Quando ho sfogliato per la prima volta “Si Git Via”, pur rimanendo spiazzato, ho tastato quella complessità sapendo di trovarmi di fronte a qualcosa di concettualmente forte.
Ho pensato che siamo abituati a vedere gli alberi per il loro tendersi verso il cielo, quale manifestazione di tutta la loro vitalità. Che poi di conseguenza è anche la nostra.
Viceversa, siamo abituati a proiettare l’idea di un albero senza vita, disteso, tramite l’immagine di un tronco tagliato, abbattuto dall’azione umana o per via della natura stessa. Ma questo essere senza vita è sempre e comunque raffigurato dal basso verso l’alto, verticale oppure orizzontale non importa, ma comunque sempre dalla terra al cielo.
Mi colpisce prima di tutto dunque il fatto di conferire un’impronta artistica tramite la fotografia ad un qualcosa che nella realtà, è stato sempre raffigurato e classificato, o meglio ancora catalogato, dalla medesima disciplina, però con un taglio decisamente scientifico o didattico. Sia nel dettaglio sia nella sua integralità. Ad esempio nel lavoro di Karl Blossfeldt.
Un albero fotografato al contrario è semplicemente al tempo stesso un albero disteso, che ha perso la propria funzione primaria, ma pur sempre vivo, non tagliato, non abbattuto, perchè proiettato dentro di noi.
Le immagini di Marco e Giovanni Vincenzi , derivano da sapienti inquadrature volte a tagliare da un certo punto in poi le fronde degli alberi, per far si che, uscendo dalla cornice che delimita l’immagine, possano entrare e disperdersi verso di noi nello spazio bianco della carta, anch’essa figlia e prodotto quasi cromosomico discendente dagli alberi, metafora del cuore e dei sentimenti da un lato, e della memoria dall’altro. Un albero fotografato al contrario assume un carattere anatomicamente e organicamente inverso, in cui le radici si sostituiscono alle fronde e vanno a ossigenare la memoria, a rendere sempre vivido il ricordo, che di pari passo con il significato di radice, non potrà mai essere spezzato.
La fotografia allora assume una carica spirituale potentissima. Diviene il ricordo della morte ma non dell’abbandono, ma anche un passaggio di consegne , la testimonianza dell’esserci pur senza essersi conosciuti.
Garè Vincenzi è indubbiamente uno di quei tanti alberi, impossibile da abbattere fino a quando il suo spirito aleggia tra coloro che in qualche modo continuano la sua opera e tra coloro a cui ha lasciato un segno nella città di Fano e non solo. “Si Git Via” è non tanto la celebrazione in ricordo di una scomparsa, ma di un eterno ritorno, a partire da questi trentuno anni.