di Marco Guidi
Prefazione del volume “Nemesi”, edito da Psicografici editore, con la prefazione a cura di Marco Guidi
Ci sono immagini fotografiche quale dono di nudità, per parafrasare Allen Ginsberg. La nudità come contemplazione. Ma non è facile arrivare a vederla in questo modo.
Lo sa bene Alessandra Scoppetta, fotografa dell’Io, Abile Ipnotista di sè tramite tempi, diaframmi e ambientazioni ricavate o costruite ad hoc, per esplorare faglie dei ricordi e stadi di conflitti interiori per poter finalmente sentirsi a casa, precisamente nel suo corpo.
Le fotografie di Alessandra sono come un potente fascio di luce che un regista cinematografico punta non sulla scena ma su di sè, rimanendo inizialmente abbacinato, ma trovando poi il tempo agli elementi chiamati in causa all’interno della propria psiche di ordinarsi e mettersi in fila per fare chiarezza. Le pose, la le composizioni, l’apparente richiamo all’eros e le parti del corpo visibili o meno, sono nell’insieme la decostruzione di un dispositivo volgare che molte persone pongono in essere a livello di credenza o superstizioni nei confronti del nudo, o meglio ancora, del mostrarsi, come un inconscio meccanismo di autodifesa morale. Alessandra, così come altri autori che operano nei confronti del corpo e della nudità propria o altrui, dimostrano esattamente il contrario sia tramite la disposizione dei segni all’interno delle immagini fotografiche, sia nella costruzione e nella gestione dell’atto fotografico vero e proprio.
C’è una radicata teatralità della fotografia, divisa in atti, come a richiamare in sequenza i momenti difficili e i contrasti nella vita di Alessandra Scoppetta. I set, sono frutto dell’attività in un atelier mentale e del vissuto. Gli indici, la formalità di queste immagini fotografiche sono il consolidamento di un percorso nella storia della fotografia che salta con richiami dalle ambientazioni costruttiviste e semi-pittorialiste di fine ottocento, di autori come Van Gloeden, per il modus operandi e al novecentesco Lewis Morley, fino alle performance e alle esplosioni cromatiche del secolo successivo. Una base solida per un citazionismo colorato, a tratti intenso e poetico, altrimenti critico e dissacrante. Non solo richiami alla corporeità e alla seminudità infatti, ma anche Ironia, su di sè e su un insieme di miti che caratterizzano e influenzano aspetti come la felicità degli esseri umani, degli italiani. Scoppetta gestisce abilmente e a modo suo una commedia popolare, o meglio, sulla mentalità medio borghese.
C’è anche un aspetto molto importante e visibile da non sottovalutare. La presenza visibile di una corporeità che nella vita dell’autrice è stata tanto motivo di conflittualità quanto ora causa di ritrovamento spirituale. Tutto questo è innanzitutto una possibilità.
Il seno come possibilità di equiparazione tra gli indici presenti nella fotografia, una retrocessione da indice a traccia per un’ipotesi di de-animalizzazione dell’uomo. Un passo indietro da preciso segno con il suo significato populistico su un oggetto post industriale, da forma a informe, slegato dall’eros o viceversa dalla censura.
Alessandra Scoppetta ha creato un suo contributo nei confronti del fotografico per riformulare concetti a far sì che la fotografia di nudo, non necessariamente integrale, sia intesa anche e soprattutto come rimando a se stessi e a se stessa, e non come la rappresentazione di una materialità strumentalizzata, accantonata con la stessa brutalità, ma questa volta concettuale, a favore della poesia.