ROBBIE MCINTOSH - "On The Beach"
Fotografie di Robbie McIntosh – Selezione dell’autore quale anteprima, da un corpus di migliaia di fotografie
di Marco Guidi
E’ strano, se non altro curioso, come un qualcosa quale la fotografia che si propone come documentaria, una volta esaurita ed elusa la sua funzione di sintesi di aspetti oggettivi , si tramuti in un imput di riflessione sullo stato d’animo. Specie se si è tendenti all’empatia.
Quindi in realtà che cosa si fotografa? Qual’è il vero risultato su noi stessi che possiamo ricavare dalle immagini di Robbie Mc Intosh?
La street photography ci ha rotto le scatole prima ancora di metterci a tavolino e discutere di cosa sia o non sia effettivamente, Ci piace più la definizione di Fotografo di strada, On the Road, poeta della stravaganza e della carne quale è Mc Intosh. Ma la sua strada è sbarrata, senza uscita, finisce dove incominciano sassi e sabbia. Lui è’ graffiante, indomabile, costante. Emana una grinta ed una testardaggine tipica del blues più sporco che ama ascoltare. Cacciatore di anime, collezionista di corpi che quasi si donano a lui con manifestazione di trasudata fiducia conquistata nel tempo, a furia di sbattere contro il vetro da ventotto millimetri piazzato davanti alla macchina fotografica, che si infila tra quelle anime, fino ad esserne inglobata con famelica complicità in quella porzione di colorito bagnasciuga della costa campana. Non è nemmeno una spiaggia, nemmeno un luogo, forse pensa Robbie, è un’ emozione, è un grande stomaco in cui volano farfalle come quelle degli innamorati ai primi tempi.
La gente del posto qui vi si riversa per vivere appieno quelle poche settimane in cui quel grande stomaco non è più una terra di nessuno avvolta da nuvole e nebbia.
Per conoscersi serve tempo, forse non basta una vita. Quindi le estati passano, si susseguono, Robbie torna acclamato e i volti si avvicendano, la fotografia è manifestazione del ritrovarsi, dettaglio di gioia o sofferenze anno dopo anno, corpi ingrassati, nuove cicatrici e tatuaggi a registrare eventi che hanno messo in discussione la vita o l’ hanno allietata, nuovi amori, o passioni, più o meno occasionali, membra e lingue, specie dei più giovani, sono arse dalla calura estiva e fluttuano sull’arenile in cerca del fresco vento della libertà dato dal piacere e dalla ricerca del contatto fisico con l’altro sesso, o col proprio, non cambia nulla. Gli altri corpi sono ancora lì, come pittoreschi gozzi arenati che sfidano il tempo, la sua inesorabilità, cercando di non essere beffa da stagione a stagione dell’eternità di scogli e piccole costruzioni a due passi dal mare.
Ma è davvero tutto così bello?
Da un lato sì.
Ma questa era la poesia, il pathos che si può discernere e che può derivare dalla documentazione di Robbie, ma non è ancora vera e propria riflessione sullo stato d’animo. Lui lo sa, lo mette in conto.
Adesso arrivano i difetti. Non del lavoro ormai decennale di McIntosh, ma insiti in quello che la sua fotografia svela su una parte di questa poesia fatta di colori, acqua trasparente e tradizioni.
Esiste la felicità? Esiste l’appagamento in alcuni corpi contenitori di anime che Robbie ogni estate immortala? Si sentono davvero liberi e se stessi?
A un certo punto occorre schierarsi e quindi, secondo me no.
La spiaggia libera per alcuni è in fin dei conti solo un rifugio. Bambini e adulti con evidente ginecomastia, altri con pance debordanti come magazzini colesterolemici, persone in pose scomposte, fianchi devastati da eccessi e donne avvolte da parei cellulitici con costumi striminziti, fuggono dalle regole del buon costume societario e cittadino e sfogano in fin dei conti una sorta di disagio in piatti di pasta che a qualsiasi ora ingurgitano, consapevoli che lì si deve fare così.
Lontano dagli occhi di tutti ma non dallo sguardo di McIntosh che nota, e registra imparziale quello che è. Non mette in posa nessuno. Fanno tutto da sè. Si rende conto che dopotutto il pudore e l’eleganza sociale vengono sottratte e ci si permette di essere al contrario in nome del luogo in cui ci si trova.
Quindi inevitabilmente c’è l’aspetto trash. Il malcostume, l’errata concezione di essere lontani dal mondo e invisibili. L’immagine del corpo vuole essere offerta così com’è, con eccessiva naturalezza, volendo sentirsi a proprio agio a tutti i costi. Ma In qualche modo Robbie, lo svela, e senza permettersi scherno, senza deridere, senza mai mettere direttamente l’accento sul luogo comune, anzi celebra in qualche modo questo status proprio grazie all’atto del documentare, del resto il suo vetro gli permette di vedere come il suo occhio, vede e fruisce per primo una disomogeneità, percepisce per primo un’idea del corpo diversa da quanto la sua gente voleva offrire.
Robbie immortala il fregarsene del giudizio degli altri, che non sempre è un bene e l’idiosincrasia dell’ostentazione, nel frangente in cui questa supera la tradizione.
Termino con una domanda, fotografa l’accontentarsi o la rassegnazione?
Fotografa tante cose come già detto, ma quella che mi inquieta è la fotografia di persone che, indipendentemente dall’età, hanno smesso di chiedersi troppo presto cosa ci sia aldilà del mare. L’immagine dell’assenza del desiderio di cambiare prospettiva. La pigrizia che impedisce di alzarsi dalle sedie sdraio.
In fondo, che abbia fotografato con disarmante semplicità l’Italia attuale?
ROBBIE MCINTOSH – “On The Beach)