Stefano Biserni – “Forese Cervese”

Selezione di fotografie di Stefano Biserni e commento. Per maggiori informazioni:

Forese cervese

 

di Marco Guidi

Stava passeggiando sul ciglio della strada, alla sua sinistra un campo appena arato, e un altro di girasoli. Non gli sembrava vero di aver trovato un po’ di pace per riflettere e contemplare gli angoli della sua terra. Quell’estate era stata fantastica, ma dopo il caos della vita sul lungomare, della frenesia sul bagnasciuga, che come la pista di un autodromo, era il luogo di competizione tra chi andava più forte, per chi la mandava di più, aveva bisogno di staccare.
Li’ in Romagna era così, lui non era da meno. La vita turistica, le sue concezioni e i suoi stereotipi, sono come un’insieme di ingranaggi , l’assemblaggio di atri e ventricoli, cuore pulsante dei meccanismi di una terra che non è solo un luogo, una meta, ma un sentimento profondo. Un modo di vivere. Un’attrazione.
Passata questa, a Stefano serviva calma per respirarlo davvero quel mondo.
Continuava a camminare, e la vista quasi sconfinata dell’ entroterra era come una macchina del tempo che collegava il nitido visuale del presente, ai ricordi, di colori sballati, di contorni offuscati. E’ il paesaggio che sta costruendo con lo sguardo. Paesaggio, presagio di memoria e fiaba. Di tempi andati e di visioni future.
Senza più nessun turista, respirando, dopo l’apnea estiva, si immaginava la vita in ogni angolo, nelle case, nei campi. Pensava a quali dolci ingenuità muovessero i bambini nei giochi all’aperto e a quali memorie si lasciassero andare i vecchi.
Camminava senza sosta, cercando in continuazione con la mente e con lo sguardo, nella vena aperta della pianura, ma la sua visione del territorio era così chiara e definita che gli sembrava di sorvolarlo come se fosse su un piccolo aeroplano biposto. Si sentiva libero mentre gettava le basi per il suo paesaggio.
Il Paesaggio Periferico o suburbano è qualcosa che soltanto il palato di una sensibilità raffinata può degustare.
Non è bello, è quasi antituristico. Cassette di frutta, depositi, vecchie fabbriche, relitti di quello che un tempo per alcuni era quasi uno sfacciato benessere. Strade, dedali di vie tutte uguali, percorsi ogni giorno da ragazzi che dalla spensieratezza in bicicletta, sono diventati giovani adulti e poi contadini.
Ma a Stefano non importa per adesso di questa gente, lui vuole ripartire dalla terra, dalle sue atmosfere. Si dice che nessuno sia profeta in patria, figuriamoci la patria stessa. Però tentar non nuoce.
C’è la tendenza a rimanere ammaliati dalla concezione visiva tipica del paesaggio d’oltreoceano. I fotografi della scuola americana, Robert Adams, Lewis Baltz, mostravano un territorio in cui era in atto una modificazione progressiva. Per tanti anni non ci siamo accorti che da noi stava accadendo la stessa cosa, presi dalla frenesia di riconoscere la bellezza altrove. E ora siamo rimasti con un territorio già modificato, di cui possiamo solo coglierne un paesaggio per via di un approccio disinteressato e di pura affezione al territorio.
A questa parte di esso per la fretta di cui siamo vittime a causa dei ritmi imposti dalla quotidianità non ci facciamo caso, o meglio sì, ma nel modo più sbagliato. Lo classifichiamo come qualcosa di brutto, qualcosa di assolutamente lontano dai canoni estetici che come sprovveduti ci siamo sempre autoimposti come se fossero favolette. Non abbiamo mai considerato quello che ci sta intorno, al massimo ci limitiamo ad appendere sulle bacheche nei nostri uffici o sui frigoriferi le cartoline di viaggi fatti in posti da sogno, per ricordarci quello che abbiamo visto (o crediamo di ricordare di aver visto). In realtà in quella terra di mezzo tra le città e il mare c’è un mondo che come una timida fidanzata si spoglia lentamente e si concede ai nostri occhi, ma a patto di entrare in sintonia con uno sguardo che la sa comprendere e non la giudica subito,nel caso a prima vista non rispecchi i nostri gusti…
Ma attenzione, per entrare in confidenza con questa terra e assaporarne l’atmosfera tramite la fotografia bisogna fare un passo indietro e mettersi in testa una cosa:
Non è un automatismo il fatto che alla presenza di un vasto spazio ci siano di conseguenza i presupposti per classificarlo con sufficienza come paesaggio. Ne occorre la mediazione dello sguardo, e in secondo luogo se necessario, una sua rappresentazione. Un darne rilievo. (Malvina Borgherini e Monique Sicard, in PhotoPaysage, citate in “La trappola del paesaggio fotografato”, Michele Smargiassi).
Inoltre Barthes, seppur discutibile, talvolta smentito, aveva parlato di classificazione del paesaggio in base alla sua vivibilità. “E’qui che vorrei vivere”. Noi lo potremmo tradurre in una sottile promozione, in termini di rivalutazione, di quel paesaggio (Chiamiamolo già così) di cui Stefano Biserni si fa ambasciatore, quale romagnolo attento ad ogni sfumatura “Post-Pittorica” nei suoi luoghi. Non essendo vincolato da nessun potere che gli imponga di classificare un determinato spazio come paesaggio, liberamente decide cosa deve diventarlo. Non è un subalterno Biserni, e la sua sfida è proprio quella di valorizzare dei luoghi modificati si’, perciò un paesaggio in continuo divenire, che in un passato sia remoto sia prossimo, per via di Feudatari, Conti, Re, Duci e Amministrazioni varie non è mai stato tale, per via del loro disinteresse che è diventato poi di riflesso il nostro. Ancorati come siamo ad una visione e credenza del bello-pittorico. Di maniera introiettata.
Il luogo trascurato non tanto dagli uomini tanto dallo sguardo, si fa medium per la conoscenza del mondo. Come un poeta di quello che è ora il suo paesaggio, Stefano Biserni comprende che se si vuole vedere il mondo, devi prima vedere davvero il luogo in cui sei nato. Questo anche grazie ad una presa di coscienza dell’estetica dei luoghi indipendente dalla pittura. Potrebbe addirittura esserci una defilazione della fotografia dalla pittura, dalla quale è ancora in buona parte schiava, grazie a questa concezione di paesaggio. Insomma, per dirla alla Giorgio Morandi, buttiamo via la cartolina e teniamoci il paesaggio. Un’ ulteriore senso del lavoro di Stefano Biserni è riassunto in questa frase.
La terra di nessuno muore, nasce il luogo e prova a crescere, tentando di spiccare il volo, cercando pian piano di essere riconosciuto. Del resto la fotografia propone, e non impone. Essendo lo specchio privilegiato della vita dello spirito, come disse Jean Jacques Wunenberg oltre vent’anni fa. Lo spirito dei luoghi. E del Paesaggio.

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Stefano Biserni – “Forese Cervese”