VITAL – Claudio Capanna

di Marco Guidi

Il mondo immaginifico di Claudio Capanna, costellato da una vividezza monocromatica che è squisitamente sensoriale, mi rimanda inevitabilmente a delle sfumature che ritrovo in qualche modo nella nudità a dimensione sia familiare che adolescenziale di Jock Sturges. Non chiedetemi perchè, ma ritrovo quella purezza quasi primordiale che per la stessa natura della sua bontà può essere spesso socialmente considerata controversa da alcuni, ma non è questo il caso. 

Quelle di Claudio sono , forse per una sorta di deformazione professionale, immagini cinematografiche che costituiscono quasi una letteratura dell’Io, un dialogo introspettivo con la palude melmosa di sentimenti che si cela dietro la retina di ogni fotografo. 

Nel 1972 il premio Pulitzer per la letteratura Philiph Roth pubblicò un racconto intitolato “Il Seno” (The Breast in lingua originale).

Nel racconto, similmente a quanto accaduto al più noto Samsa di concezione kafkiana, il professor David Kepesh, quasi coetaneo dell’autore di queste fotografie, si ritrova metamorfizzato in un enorme seno femminile di settanta chili. Kepesh, ora non vedente e impossibilitato a muoversi, riesce a vivere gli unici momenti degni di nota della sua esistenza solo attraverso il tatto, esercitato in modo particolare dalla fidanzata e da un’ infermiera della clinica in cui è ricoverato.

Simili a questo seno sono le immagini fotografiche di Capanna, granulose e silenti, ma al tempo stesso portatrici dell’eco di tempi andati dove la morte e la bellezza non erano altro che leggende e dipinti nelle caverne.

Capanna, tutt’uno con la sua macchina fotografica è come il seno-Kepesh, rinchiuso in una bolla di emozioni dalla quale fuoriesce l’amore per sua moglie che come un filtro imprescindibile per lo sguardo sul mondo, si posa e si espande in ogni battito di ciglia dell’autore sul reale. Ma differenza di Kepesh, non è tanto lui il seno quanto la sua fotografia. Essa esiste, è gratificata nella sua essenza solo tramite il filtro della nudità (l’equivalente del tatto dell’innamorata Claire su Kepesh) della moglie, e dell’amore nei suoi confronti e per la vita.

Il mondo messo a nudo da Capanna, è allora come un Eden senza peccato originale, in cui la nudità non è una scoperta (“Chi ti ha detto che sei nudo?”, Gen.3,9-15.20) ma una meravigliosa condizione senza tempo e senza pudore. 

L’ unico peccato originale sfogliando queste pagine è chiedersi il senso di un qualcosa che è già assoluto in partenza.

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