Wayne
1) “Wayne è il nome di una vecchia pompa di benzina che a lavoro vedo ogni giorno. Mi rimanda ad un’ idea di libertà e al tempo stesso, per via del suo collocamento, ad un senso di alienazione.”
Marco Guidi
2) Per introdurre questo lavoro si può partire dalla Stanza di Jonas Karlsson, intesa come estremizzazione del rapporto alienante tra lavoratore ed ambiente d’ufficio, e , nella ricerca dell’immaginario come una sorta di “Second Life” nella quale cercare rifugio. Un’ ambiente quasi sempre costrittivo e spesso alieno (appunto) alla natura della persona. L’aspetto relazionale non viene scelto bensì imposto e questo a volte coinvolge le motivazioni, che sembrano via via svanire, sostituite da una meccanicità d’azione e di pensiero, come una specie di inconscia autodifesa.
Altre volte invece produce una competitività perenne, che, non vedendo mai un traguardo raggiungibile, induce a ritmi di lavoro esasperanti e insostenibili.
Ed ecco allora che, come nelle pagine di Karlsson, la mente cerca rifugio in un proprio immaginario, fondendo il luogo con una sua rappresentazione onirica. In questo caso la stanza è proprio la fotografia.
La sequenza di immagini ci circonda, quasi ci attanaglia lungo questo percorso, dove si alternano sapientemente nel composit del corpus di fotografie di Marco Guidi, l’ambiente con al sua rappresentazione surreale, l’aspirazione alla libertà e il suo brutale annullamento per via, paradossalmente, di astrazioni che come un flash riportano alla realtà e ad una matematica oggettività.
C’è il desiderio di evadere da questa alienazione.
Non ci sono persone nelle immagini fotografiche, ma solo presenze. Si sente il freddo di relazioni inesistenti e forzate, che a volte causano persino malessere e timore. L’ambiente di lavoro si fa “Spleen”, giusto per riprendere il mood alla Baudelaire.
Questo è il segno che il rapporto umano lo si cerca altrove, in quegli scorci di esterni che compaiono quasi come un miraggio, a sottolineare brevi attimi di vibrazioni positive.
Fuori la vita scorre, dentro, viene scandita dal ticchettio di un orologio lento e abitudinario, e dal picchiettare meccanico delle dita sulla tastiera del computer.
Il lavoro di Marco Guidi è un progetto per immagini certamente non facile ma che certamente coinvolge e intriga, con un’ottima intuizione del “Cosa” e del “Come” e con una consapevole sequenza di rappresentazione.
Valerio Dondi